La potenzialità dell'accettazione

Capodanno 2008.

Un altro anno è passato, la vita scorre e ogni momento passato è perduto, con le sue potenzialità inespresse.

Alcune di queste possono costituire fonti di frustrazione e di rammarico, per le cose che la vita ci ha negato, facendoci provare un forte senso di ingiustizia.

Il sistema dell'esistenza mortale di solito non è meritocratico, ed è normale che ad alcuni dia molto, e ad altri dia troppo poco.

In generale, questo sistema ci lascia insoddisfatti, e ci arrabattiamo per combattere contro i mulini a vento per sconfiggerne i grandi difetti: la povertà, la guerra, la malattia, la fame, la corruzione politica, l'inquinamento totale della Terra.

Battaglie che sappiamo impossibili da battere, e che eppure sarebbe assurdo non affrontare,  perchè non ha senso la vita senza una prospettiva di superamento di questi problemi.

Battaglie di ampio respiro, decisamente al di là delle possibilità del singolo essere umano, al di là del tran tran lavorativo che ogni modesto componente dell'umanità può affrontare ogni giorno, al di là del problema di sopravvivere che ognuno di noi affronta in primis ogni giorno; battaglie affrontate pertanto dallo sforzo organizzativo ed economico di più alto livello.

A livello individuale, tante piccole battaglie per riuscire a soddisfare i bisogni primari, poi per quelli più fortunati quelli secondari, quelli voluttuari etc.; mangiare, un tetto sulla testa, curarsi la salute, proteggersi dalle aggressioni esterne; e poi crearsi una famiglia, intrecciare rapporti di amicizia; e poi riuscire a fare ciò che ci piace veramente, secondo l'andamento della piramide di Maslow che ho scelto come immagine di questo post.

Una piramide costellata di occasioni mancate, di insuccessi, di possibilità negate, come dicevo all'inizio.

Micro come macro.

Battaglie individuali e battaglie mondiali.

Tutte ugualmente senza vincitori.

Un sistema così, sempre cronicamente in sofferenza, sempre inadeguato, senza speranza.

E allora, ecco l'unico modo di affrontare questo sistema: l'accettazione.

Accettare non è un'azione, non è un comportamento, non è qualcosa di più o meno giusto da fare.

Accettare è accogliere dentro di noi la reale dimensione dell'esistenza, recepire la dimensione di sofferenza e di potenzialità inespressa del sistema come ineluttabile.

Accettare non significa rinunciare.

Accettare significa porre le premesse di razionalità necessarie a qualsiasi azione quotidiana, nel micro come nel macro.

Accettare non è recriminare, non è piangersi addosso, non è pessimismo; accettare è affrontare i problemi della vita sapendo di dover subire dei costi, delle perdite.

Va bene così.

Accettare sè stessi nella propria modesta dimensione, nella realtà di assoluta carenza su questo o quel bisogno, primario o secondario; di salute, di risorse necessarie alla vita, di affetto reciproco, di lavoro.

Accettare di essere a volte su una carrozzella, di dover affrontare conflitti, di essere traditi, di non sapere come poter vivere domani.

Accettare per affrontare, non per rinunciare.

Non è da tutti; e per chi non riesce la vita è un inferno; abbiamo esempi quotidiani di persone marginalizzate, di persone oppresse dallo stress, di eserciti di arrabbiati con il mondo.

Accettare è importante per noi; affrontare le difficoltà della vita con atteggiamento positivo è un obiettivo importante, che ci permette di godere dei modesti risultati che raggiungiamo dando per scontato i costi da sopportare.

E' l'unica premessa per una felicità possibile.

Persino avere una Fede religiosa non è compatibile con la frustrazione per l'inadeguatezza del sistema; per avvicinarsi a Dio occorre riuscire ad astrarsi dalla limitatezza della realtà, per avvicinarsi con la mente aperta al mistero della Presenza di Dio nella storia - micro-nostra individuale e macro-del mondo - e al di là della storia stessa.



Ecco una delle principali applicazioni di quell'atteggiamento positivo di cui parlavo: le relazioni personali più forti si realizzano nella dimensione dell'affettività.

Se si matura un atteggiamento di attaccamento affettivo rispetto ad una persona, essa diventa un elemento essenziale della nostra dimensione di vita, ed ogni alterazione del rapporto ci fa soffrire.

Affetto non vuol dire necessariamente comprensione, ma comporta sempre aspettativa.

Aspettativa senza comprensione ci porta alla frustrazione, e questo spiega le difficoltà relazionali che affrontiamo ogni giorno con i nostri cari e amici.

La risposta a queste difficoltà è nell'accettazione.

Accettare nella relazione personale non significa rinunciare a stimolare l'altro, o rinunciare ad un percorso di cambiamento ed evoluzione; anzi, significa proprio mettere le premesse perchè questo possa avvenire.

Le relazioni non possono essere statiche; un rapporto personale o va avanti o regredisce.

Andare avanti vuol dire cambiare, nel compromesso tra gli interessi, gli obiettivi, e i vincoli che ci dà la vita.

Dato che non si può cambiare quello che non si conosce, il percorso della relazione è per forza un percorso di conoscenza reciproca; una conoscenza che non si deve mai dare per scontata, perchè le persone cambiano giorno per giorno, e hanno diritto di farlo, nei gusti, nelle idee e negli atteggiamenti.

Quindi: conoscere una persona è un'avventura, che va affrontata con l'idea di un percorso infinito, perchè impossibile concludere una conoscenza di qualcosa che cambia continuamente; questa prospettiva richiede di limitare le proprie aspettative a elementi minimali, relativi, proprio perchè non posso sapere come l'altro reagirà domani sulla base della reazione di oggi.

E' evidente la necessità di una dimensione di accettazione, senza la quale le cose si fanno troppo difficili.

Accettare l'altro significa accettarne il cambiamento, la dimensione di mistero, l'incertezza delle reazioni.

Recupero il senso di questa dimensione di accettazione positiva dal post precedente:  porre le premesse di razionalità necessarie a qualsiasi azione, affrontare i problemi sapendo di dover subire dei costi. 

Sembra di parlare della scoperta dell'acqua calda, ma io questa dimensione di accettazione la vedo lontana negli amici e nelle coppie che frequento; più spesso vedo il desiderio di forzare l'altro a rientrare nei propri obiettivi, di manipolarlo.

E quando l'operazione riesce, abbiamo quei mariti ubbidienti, quei rapporti di amicizia servili, quei rapporti di simbiosi tra vittima e persecutore, che costituiscono la patologia e la caricatura, purtroppo diffusa, dei rapporti personali.

Una realtà fantozziana e kafkiana che incontro ogni giorno.

Se crediamo che ogni persona nell'ambito delle relazioni personali abbia diritto al suo spazio di autonomia, di indipendenza, di realizzazione, di rispetto, allora ci apriamo alla prospettiva dell'accettazione positiva.

Accettare l'altro non è un risultato che si può acquisire una volte per tutte; è insieme una modalità di vivere un rapporto, e un percorso da affrontare ogni giorno come si può.

Nel rapporto di amicizia come nel rapporto di coppia, lo stimolo del confronto deve avere come premessa il desiderio di conoscere, e non di modificare; un atteggiamento descrittivo, e non prescrittivo.

Noi non possiamo svolgere il ruolo di genitore nei confronti degli altri, sgridandoli se non si comportano come noi riteniamo, e ricompensandoli se si "comportano bene"; questo NON è rispetto.

Il confronto deve essere alla pari, sia nel momento dell'abbraccio affettivo che nel momento del dialogo razionale; tu vali come me, io non sono più nel giusto di te, non sono in grado di insegnarti a vivere, posso essere solo il tuo interlocutore, la tua spalla, l'elemento catalizzatore del tuo pensiero, del tuo progetto. Posso aiutarti a ragionare, a capirti, perchè ti posso riferire una parte di te che tu non puoi vedere, che è il tuo cd. "Io cieco". 

Posso farti sentire che per me sei importante, che veramente mi sta a cuore il tuo bene, posso dedicarti del tempo prezioso, aiutarti come posso nelle difficoltà quotidiane.

Non voglio forzarti a condividere per forza il mio pensiero; non voglio assumere un ruolo predominante di guida e dittatore; non voglio assumere l'onere di condurti a diventare qualcuno.

Ti accetto come sei, e solo questo pretendo: di essere rispettato per questo ruolo di compagno.

Non ho pretese di fare e non fare, non ho diritti da far valere, non voglio piegarti ai miei desideri.

Il rapporto personale è gratuito, non può essere uno scambio di prestazioni, non può diventare un "do ut des".

Nè tra umani, nè con Dio; eppure tante volte capita di ascoltare persone religiose che sembrano voler vincere la volontà divina con ricatti e sacrifici. Ritualità contro benevolenza, l'assurda pretesa di uno scambio; davvero conoscerai i limiti dell'uomo se conoscerai il suo rapporto con Dio.



"Sia fatta la Tua volontà..."

Milioni di persone ogni giorno pregano con le parole evangeliche del Padre Nostro, ma la maggioranza nell'uso abituale non riescono a penetrare il significato immediato delle parole, per cogliere il senso profondo del rapporto con il Dio annunciato da Gesù di Nazareth.

Io non sono certo un teologo, nè un uomo di chiesa, ma una mia idea me la sono maturata, e cercherò di esporla di seguito.

Il fatto di porre al centro della nostra vita di tutti i giorni non la nostra, ma la Sua volontà, ha implicazioni che mi sembrano importanti, e attengono al tema dell'accettazione che ho introdotto negli ultimi due post.

Lo stesso concetto di volontà, quale dimensione di una ragione orientata ad un obiettivo, è difficile attribuirla a Dio, se si considera quest'ultimo il Creatore della materia, del tempo, e dell'uomo. Un Essere al di là del tempo e della comprensione dell'uomo, di per sè. Un Essere che per poter comunicare efficacemente con l'uomo ha dovuto inviare Suo Figlio.

Questa volontà espressa da una psiche al di là della nostra portata, diventa la roccia su cui poggiare tutto il senso della nostra vita, in generale e nel particolare di ogni momento.

Una volontà che l'uomo religioso ritiene misteriosa nella sua ragione, ma che accetta come buona per principio, e che riconosce nel quotidiano come la c.d. "porta stretta".

Ogni giorno della nostra vita affrontiamo l'articolarsi delle situazioni assumendo decisioni sui nostri comportamenti; nell'assumere queste decisioni ci troviamo sempre di fronte alternative diverse, che non si qualificano per essere nere o bianche, giuste o sbagliate, ma per il fatto di essere più o meno finalizzate agli obiettivi che ci poniamo; spesso quelle più aderenti ai nostri ideali sono anche quelle che ci comportano più sacrificio: queste ultime sono la c.d. "porta stretta".

MT 7, 13 "Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; 14 quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano! "

Lc 13,24 "Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. "

Quindi una volontà a cui possiamo concretamente adeguarci o meno, e qui sta la scelta che ci spetta.

Ci sono però molte volte che nella vita ci troviamo a subire delle situazioni non volute.

L'uomo religioso riconosce anche in queste situazioni indesiderate la volontà di Dio; nulla avviene a caso.

La morte di una persona cara, la malattia, la persecuzione dei nostri simili, ci impongono sofferenze che riconosciamo come espressione della volontà di Dio; non si muove foglia che Egli non voglia.

E qui che "sia fatta la Tua volontà" diventa pesante come un macigno, perchè non sempre ce la facciamo ad accettare la realtà come si propone concretamente.

Eppure questa accettazione ci viene chiesta da Gesù; ci viene chiesto di abbandonarci alle mani di Dio senza preoccuparci di quello che non possiamo controllare.

Anzi: ci viene chiesto di accettare senza capire; perchè la volontà di Dio non la possiamo capire, e ogni tentativo di interpretazione cade nel ridicolo.

Per accettare la Croce ci vuole fiducia.

A volte si ha difficoltà a definire il concetto di Fede; beh, io vorrei sostenere che la dimensione dell'accettazione di cui ho detto è proprio l'essenza della Fede.

Ed è il senso della nostra breve vita attuale, perchè ci porta alla vita eterna.

Gv 5,24 "chi ascolta la mia parola e crede in Colui che ha mandato, ha la vita eterna."

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