I vestiti nuovi dell'imperatore


La fiaba di Andersen che narra dell'imperatore ingannato da astuti furfanti spacciatisi per sarti sopraffini, che finì per andare per strada nudo, è diventata un importante paradigma del meccanismo di finzioni e falsi convincimenti indotti dalle debolezze umane: orgoglio e vanità, e la passività rispetto all'opinione della maggioranza.

La maggioranza, o per meglio dire la quasi totalità delle persone, ritiene che per essere felici occorra avere un bel pò di soldi, di potere, di persone al proprio servizio, e poter fare quello che si vuole.

Siccome poi nella concretezza della vita non si possono avere tutte queste cosette insieme - e talvolta nessuna - quasi tutti si ritengono condannati all'infelicità cronica.


Manca sempre qualcosa: o il tenore di vita desiderato, o l'attività prediletta, o la persona più gradita, o il raggiungimento degli obiettivi più ambiziosi.

Per alcuni, poi, questa millantata infelicità è diventata purtroppo una forma mentis, sicché succede che quando le cose vanno troppo bene cerchino di inventarsi nuove grane, e rimangano appagati e motivati se finalmente arriva la diagnosi di un tumore o simili.

Sembra un'assurdità ma è così che funziona la psiche umana, e ben lo sanno i consulenti psicologici e spirituali che devono raccogliere le relazioni delle persone in crisi.

In realtà io penso che siano tutti vestiti fatti di nulla, come quelli dell'imperatore.

Non è affatto vero che la felicità sia determinata dalle cose o dalle persone che abbiamo intorno; la felicità è uno stato psichico, che è determinato dalle nostre rappresentazioni ideali. Se ho l'idea che la situazione in cui vivo sia appagante, ne sono felice; se penso che manchi qualcosa ne soffro e mi condanno da solo all'infelicità. La realtà è quella che è, le idee possono cambiare.

Anche per quanto riguarda la religione, e il cristianesimo in particolare, si pone sempre molta attenzione a quello che manca, all'insufficienza della propria dimensione spirituale, al senso di colpa per "pensieri, parole, opere ed omissioni". 

In realtà l'annuncio di Cristo è una "lieta notizia", non una diffida: Dio ci vuole felici.

La via che ci ha tracciato per la nostra salvezza è per la nostra felicità, e non solo in senso escatologico, ma nel qui ed ora.

Essere miti,  puri di cuore, poveri in spirito (ovvero non attaccati alle cose e alle persone), è una scuola di prevenzione dello stress, della frustrazione, dell'infelicità. Funziona già qui, adesso.

Possiamo essere felici, se siamo disposti a toglierci le finzioni mentali delle quali ci siamo vestiti.

Lo so, anche alle nevrosi ci si può affezionare. Ma razionalmente non possiamo farci condizionare dall'attaccamento alle nostre aspettative, alle nostre interpretazioni pessimistiche della vita. Dobbiamo abbandonarle.

Per essere felici bisogna spogliarsi di ogni dipendenza psicologica, e camminare nudi verso Dio e il Prossimo.










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