L'insufficienza della buddità



E' vero che quello che ci turba è ciò che ha un potere su di noi, perché noi glielo abbiamo concesso.

Non importa che sia un principio ideale, un interesse meschino, la brama per una persona o per un oggetto qualsiasi.

Ciò a cui siamo attaccati ha un potere venefico su di noi.

Ci turba, ci fa soffrire, ci manca.
E tutti i grandi maestri, dal famoso Siddharta a Socrate, Epicuro, Gesù, Gandhi  e altri, ci hanno indicato la via del distacco dalle cose, da noi stessi.
Ne hanno fatto una questione di saggezza, di felicità, di senso profondo della vita.


La storia non ricorda veramente nessuno che ci sia riuscito completamente.


Personalmente ammetto che faccio spesso esercizio su questa via.
Ma mi sono accorto che non porta da nessuna parte.


Staccarsi dalle cose e dalle persone a cui teniamo ci svuota della nostra identità.
Il vuoto non può essere il fine, la risposta.
Il vuoto è una condizione preliminare, per poter essere riempiti da qualcosa di nuovo.
Il senso è riuscire a riempirsi di qualcosa che valga la pena.
Qualcosa che ci segua sempre nella vita, che non ci tradisca mai.


Non riesco a pensare a nulla di diverso che a Dio.
L'unica persona che certamente mi segue dalla nascita e oltre la morte, è Lui.
Tutto posso perdere: i soldi, gli affetti, la condizione sociale, il lavoro, la salute, la vita.
Ma posso tenere il collegamento con Lui. Sempre. Fuggendo ogni occasione di allontanamento, di tentazione edonistica, di peccato.


Matteo cap. 6 v. 21 "Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore."


Dal necessario distacco dalle cose di questo mondo ci ritiriamo alla ricerca del Suo amore, che ulteriormente ci aiuta a vivere nella libertà dai condizionamenti materiali e personali.
Un circolo virtuoso di amore e libertà.


Questa è la strada.

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