l'unica via di Salvezza



Tra le tipicità della sensibilità umana per ciò che si spera che esista oltre la realtà materiale, ovvero lo spirito religioso, v'è l'intolleranza culturale. E non parlo di quel fenomeno storico per cui in varie epoche si sono svolti veri e propri genocidi per la difesa di una prepotenza culturale e politica. Non parlo della gente assassinata dall'inquisizione cattolica. Parlo di quel principio che più o meno esplicitamente ogni persona religiosa assume, che rivendica la vera fede, la vera strada, l'autentica verità, rispetto a tutte le altre religioni e credenze. 

Io sono nel giusto, non voi! Io mi salverò, non voi! Io ho capito tutto! 
(lo penso ma non lo dico).

Quando si dice nascondersi dietro un dito (ovvero ben scarsa copertura)... la moda del politically correct ha pervaso anche la comunicazione religiosa, e oggi le comunità religioni sono molto più sfumate nel descrivere i rapporti con le altre, in nome di un ecumenismo alla new age, chiamato anche sincretismo.
Insomma, mandare gli altri al diavolo non si può più fare, ma io penso che ogni religioso in cuor suo preveda tale fatale destino per i credenti di altra fede. Persino all'interno della stessa cultura religiosa, molti guardano gli altri con sospetto, rilevando incongruenze ed infedeltà, escludendo - senza dirlo per carità - che siano destinati ad una vita eterna di felicità avendo tradito la verità rivelata.

Da anni discuto con un amico aderente ai cd. testimoni di Geova che, essendomi molto affezionato, è altrettanto preoccupato del mio destino ultraterreno, e mi implora di riconoscere la verità delle intepretazioni del saggio Charles Taze Russell.
E in fondo anche io ho fatto molte volte così  nella mia vita e persevero pertinacemente, cercando di testimoniare la mia fede al mio prossimo.

Io penso che capire il problema dell'intolleranza, e riconoscere le tragedie scaturite dai pogrom e dalle altre nefandezze storiche, non implichi però la rinuncia ipocrita a quello che si è.
Tutti ricordiamo la vicenda di Galileo, che fu costretto a disconoscere la verità delle sue scoperte, e ad ammettere falsamente l'errore, pur non riuscendo a reprimere un moto di ribellione: "eppur si muove".
Vicende come questa ci insegnano che quando uno scopre la verità, ha il sacrosanto diritto di pensare che chi non condivide sbagli.
E questa intolleranza concettuale, se non si traduce nella prevaricazione dell'altrui spazio vitale, mi appare legittima.

Per chi ha riconosciuto la verità in Gesù Cristo, non si può indulgere a compromessi, sincretismi e riconoscimenti.
Il cristiano non deve nascondere nè a se stesso nè agli altri che la fede dell'Islam è del tutto erronea, così come quella ebraica è inficiata dal mancato riconoscimento del Messia. Non deve tacere che il buddismo porta ad una sterile ricerca dell'armonia universale, e che la molteplicità delle divinità induistiche è paragonabile alla decaduta religiosità classica greca e latina. Non è questione di offendere le altrui credenze, è questione di dire pane al pane.

Lasciamo pure che ogni credenza si possa esprimere, e che si moltiplichino le moschee intorno alle nostre case; ma al doveroso rispetto e ad una pratica e spesso unilaterale tolleranza non facciamo seguire un'illecita compiacenza.

Quando Cristo dice "se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio." (Giovanni, 3,5) o quando ribadisce "Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno." (Giovanni 12,48) e ancora "se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno." (Giovanni 6,53), traccia una linea di demarcazione netta, certamente poco politically correct.
Ma per chi ci crede è la Verità.
Non si può tradire la Verità per essere gentili ed indulgenti con gli altri.
Cristo per noi cristiani è un passaggio necessario, non eventuale.
In questa prospettiva va intepretato lo spirito missionario della Chiesa: perchè tutti gli uomini hanno diritto ad avere l'annuncio di Cristo. E di decidere, ognuno per sè, se accettarlo o meno.
E se non l'accettano, deve essere chiaro che sono fuori dal piano di salvezza, senza se e senza ma.

Fuori. 

Chi non accoglie Cristo condanna se stesso: "...quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino." (Luca 10,10)

Oh, come mi sento meglio dopo averlo scritto, dopo anni di piaggieria subita nelle parrocchie dove si predica che probabilmente all'inferno non ci andrà nessuno, perchè la misericordia di Dio è infinita. E che saremo giudicati sull'amore, al di là della proprie credenze.
Ma certo che Dio è misericordioso, ma di sicuro non è una banderuola! Ma certo che saremo giudicati sull'amore, ma solo sulla via indicata da Cristo, non da vari leader e  guru.

Ultima chiosa: obietta un mio amatissimo amico, che non posso misurare gli altri sulla base del mio percorso soggettivo. Ognuno ha diritto di fare le proprie scelte in piena autonomia, senza che ci sia io a dirgli cosa deve o non deve credere. Caro M., nessuno è obbligato a parlarmi o ad ascoltarmi. Se uno accetta l'interazione con me, il patto implicito è che io ascolto lui, e lui ascolta me. Lui mi proporrà le proprie prospettive, e io gli presenterò quello che sono. E io sono cristiano, punto. 
Interessa? No? Se recepire o meno la mia verità sono tutti fatti suoi, e deciderà del suo destino con le sue mani. E' vero: io non posso salvarlo. Ma testimoniare quello che sono, quello che penso, il senso che dò alle cose della vita, è l'unico elemento fondamentale di ogni relazione umana. Io sono quello che sono, e testimone di Colui che E'.

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