l'educazione che conta



Dal giorno che siamo nati, la realtà ci educa, ci insegna, ci da la formazione necessaria per affrontare la vita del giorno successivo. Un apporto sempre insufficiente, in realtà. Mai riusciremo ad avere tutte le cognizioni necessarie per affrontare in piena consapevolezza le nuove circostanze che ci troviamo ad affrontare. La vita scorre in una dimensione di incertezza, per l'ignoranza dei fattori che determinano la realtà. L'arte di vivere sta anche nel barcamenarsi, nell'agire con quella prudenza necessaria ad evitare gli errori più grossolani.

Il sistema di relazioni umane su cui si fonda la civile convivenza è improntato, di fatto, all'educazione permanente. Ci educano per primi i genitori, gli insegnanti della scuola, gli istruttori sportivi, i religiosi. Poi il ns. partner, gli amici e i conoscenti, il datore di lavoro e i suoi delegati. Il sistema funziona quando all'intenzione di educare corrisponde la nostra disponibilità ad imparare. Il sistema premia tale disponibilità e castiga, a volte assai duramente, chi cerca di bigiare la lezione.

Cosa si insegna: a me pare che prioritariamente si insegnino i comportamenti, e con questo il sistema cerca di garantirsi relazioni affidabili e comportamenti prevedibili sulla base dei quali basare l'organizzazione dei compiti e dei ruoli sociali.

Poi si trasmettono nozioni, ovvero scorciatoie alla conoscenza della realtà tesaurizzate dalle esperienze e dagli studi dei nostri predecessori, evitando così che ogni persona debba ricominciare la ricerca delle cause degli effetti da zero. Siamo tutti dei nani elevati sulle spalle dei nostri precursori.

Un tempo si aveva il coraggio di trasmettere esplicitamente dei valori, dei significati. Oggi per pudore la cosa avviene sempre più implicitamente. Non è facile sentire qualcuno che stimola nei giovani l'attaccamento al vivere ordinato, al sacrificio per gli altri, alla difesa del vivere sociale.

Ed è ancora più raro, in ogni tempo, il caso di un'azione educativa al pensare bene. E intendo al modo di guardare la realtà con fiducia, con umiltà, con un sentimento di donazione di se stessi. All'amore.

L'educazione all'amore è la cosa più difficile, ma sicuramente la più importante. Quella disposizione di agape di cui parla Paolo nella prima lettera ai Corinzi cap. 13 è la condizione per un vivere sereno e costruttivo per se e per gli altri. E' condizione necessaria per poter maturare una sensazione di appagamento nelle difficoltà pratiche e relazionali di cui ogni esperienza umana è popolata. Una forma di felicità raggiungibile, senza molti entusiasmi e forti emozioni, ma durevole. Un amore non definibile in senso romantico, ma riconoscibile da alcuni tratti sintomatici che Paolo evidenzia: la pazienza verso le cose che non vanno, la disciplina di pensare in positivo, l'accettazione della propria condizione economica - fisica - sociale, la capacità di riconoscere i propri limiti e la propria debolezza, perchè è quando mi sento debole che sono più forte; il rispetto per la realtà interiore degli altri evitando facili giudizi di merito; il distacco da se stessi e la resistenza alla naturale tendenza all'egoismo e all'egocentrismo, per aprirsi al bisogno degli altri; il perdono del proprio e dell'altrui errore; il rigetto delle finzioni e la ricerca della verità senza compromessi.

Questa sarebbe l'educazione che conta: l'educazione a vivere nell'amore.

E di qui dovrebbe passare anche l'educazione alla conoscenza di Dio. E' inutile che i cristiani trasmettano ai loro figli la conoscenza delle storie della Bibbia, nozioni di teologia spicciola e formule di preghiera, se non illuminano tali conoscenze con l'agape. L'esempio di tanti giovani cresciuti in istituti religiosi, e di quelli formati nelle classi di catechismo parrocchiale, ci rappresenta il dramma di tante esperienze di vita contrassegnate da un'educazione religiosa formale. Una vaccinazione contro il vero fuoco del messaggio di Cristo. Gente che pensa di avere conosciuto tutto, e non ha toccato l'essenziale. E non per lo scandalo dell'inadeguatezza della vita dei religiosi che insegnavano bene e magari razzolavano male. Ma per il fatto che recitare centinaia di Padre Nostro non avvicina nessuno al Padre, se sotto le parole non si riesce a trasmettere il calore di un rapporto personale con Lui.

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