Questioni spinose






Le questioni che sta affrontando il Sinodo dei vescovi indetto da Papa Francesco sono per molti versi spinose, perchè sono problematiche sia sul lato teologico che su quello culturale.
In un momento in cui ancora l'umanità sta diversificando molto le risposte (laiche) alla realtà dell'omosessualità, del tradimento coniugale, della lacerazione delle famiglie, trovare una via di equilibrio che concordi con la dottrina cristiana è veramente arduo.
Tuttavia, non è affatto detto che si debba trovare una quadra, una conciliazione forzosa alla cultura laica.
Finora, infatti, la Chiesa cattolica ha scelto di proporre delle soluzioni che sono inconciliabili con la morale laica: no ai sistemi contraccettivi artificiali, no alle nozze gay, no alle nozze multiple etc.
Si dirà: certo che così la Chiesa tiene fuori dalla comunione molti che si trovano anche loro malgrado nei pasticci. Gente che non ha scelto mica di avere tendenze omosessuali, o pedofile, o di non riuscire a tenere in piedi una relazione coniugale. Ci sono problemi che nascono da disturbi di personalità, di cui le persone sono vittime. Uno dei principi cardine è quello di non giudicare, no?
Però c'è una differenza tra marketing e apostolato: nel primo caso cerchiamo di non perdere alcun cliente, nel secondo annunciamo la Buona Notizia a tutti, e li affidiamo a Dio.
Allora mi piacerebbe che venissero ribaditi alcuni pilastri teologici: la malattia mentale non è peccato. E neanche l'omosessualità. E neanche i disturbi relazionali che portano le famiglie al fallimento. Peccato è il consapevole allontanamento dalla Grazia, dalla relazione con Dio.
Come fare allora? Potrebbe la Chiesa somministrare i sacramenti a prescindere dalle condizioni della gente? Si e no, secondo me. Si, in quanto appunto solo Dio può giudicare. No, in quanto la comunità ha la responsabilità di una gestione seria dei sacramenti. I sacramenti sono segni comunitari della relazione con Dio. Nessuno vieta ai singoli di pregare incessantemente, ma nel momento in cui si rivolgono alla comunità per avere il dono del sacramento, si sottopongono alle decisioni della stessa su questa gestione.
Su queste decisioni, ovvero su quello che viene chiamato oggi sui giornali l'indirizzo pastorale, vorrei dire la mia: quello che dovrebbe essere richiesto per la somministrazione dei sacramenti è di far parte della comunità, parrocchiale o gruppo indipendente. Cioè se la sede dei sacramenti è la comunità, la relazione con essa deve essere vera, concreta. Occorre frequentare assiduamente, far parte del gruppo, coinvolgersi. La somministrazione dei sacramenti dovrebbe essere innanzitutto condizionata da questo. Il cristiano single è sostanzialmente un eremita, e si esclude dai sacramenti comunitari. Il che non vuol dire che non possa diventare santo, anzi. Ma è un rapporto diverso. I sacramenti sono manifestazioni concrete di un rapporto con Dio che hanno luogo nella comunità; sono come i baci di una relazione amorosa. Si può amare senza baciare, rinunciando alla manifestazione concreta del sentimento. Succede, nell'allontamento provocato dalla guerra, o da altre situazioni contingenti. Non è che perchè stiamo lontani ci vogliamo meno bene. La relazione può essere vera comunque. Ma se voglio i baci, che sono la manifestazione sacramentale della relazione, devono essere in situazione di contiguità fisica.
Quindi, secondo me, gli omosessuali, i divorziati e tutti coloro che hanno subito un problema grosso esistenziale devono scegliere se avere o meno una relazione di contiguità fisica con il gruppo, la comunità dei cristiani. E sottoporsi all'indirizzo di quella per le scelte della propria vita. La comunità indirizza i propri membri. Lo leggiamo nei primi scritti cristiani, le lettere di Paolo. Vediamo nella prima lettera ai Corinzi capitolo 5 come la comunità deve reagire, allontanando chi da scandalo. In Galati   6 troviamo invece il criterio di giudizio, che discende dall'amore divino. Ma anche riprendere e castigare è amore, quando è teso ad aiutare, ad educare.

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