Quale gruppo quale comunità

"Celebravo la Messa in campagna e stavo dando le notizie di tutte le attività in programma per la settimana, quando una donna, una contadina, si alzò e mi disse in dialetto: «Qui si fanno tante attività ma mi sembra che si preghi così poco!». Ho detto: «Grazie, Signore!». Ci ha fatto riflettere tanto, perché meno parliamo con il Signore, più cincischiamo sui problemi. Andate invece al sodo della Parola del Signore: quando vi riunite in parrocchia, in comunità, sappiate trovare i segni dei passi che Dio vuole che si facciano. Si corre il rischio di formalizzare troppo dando molti incarichi, ma con poco Spirito. Invece se diamo molto Spirito Santo vedremo che viene fuori questa passione grande per il Regno di Dio." (Oreste Benzi)

Dal commento liturgico odierno traggo una riflessione personale. Negli ultimi anni ho frequentato due gruppi religiosi molto diversi tra loro, uno parrocchiale pervaso dalla frenesia per le attività convivali, di coinvolgimento degli ignavi sul territorio (marketing religioso); l'altro invece impegnato nella ricerca e nella riscoperta dei tesori della cultura religiosa antica e attuale.
Ci sono - in entrambi i casi - spazi per la preghiera comune e per attività di carità.
E spazi conviviali abbastanza estesi. D'altra parte fa parte della cultura italiana dare ampio spazio al mangiare insieme. In altre parti del mondo ci si vede per ballare, da noi si mangia, e anche piuttosto bene. 
Però il senso della piccola comunità deve stare nel cammino insieme nella vicinanza di Dio amore. Bisogna meditare insieme e condividere. Bisogna fare l'esperienza insieme della conoscenza dell'amore di Cristo, che è quello per chi non ci piace, o ci è addirittura nemico in qualche senso. Il rischio grosso è quello di rimanere uniti da un'amicizia umana, e di fare le attività che rafforzano i legami amicali. Il rischio è il gruppo autoreferenziale rispetto al mondo. Il gruppo non è del mondo, e non deve essere colluso nella ricerca del divertimento mondano, però deve dare una testimonianza al mondo. Cristo crocefisso e risorto, e null'altro. Deve maturare nella consapevolezza che la Verità ci fa liberi, per poter fare apostolato.
Dobbiamo avere il coraggio di bandire le attività di divertimento dalle nostre comunità. Non ci si riunisce per quello e si corre il rischio di rimanere invischiati in qualcosa che distoglie dal senso di essere insieme per Dio. Del resto la squadra dei 12 convocata da Gesù non giocava a calcetto. Non attirava le folle con raviolate sociali. Non separava l'attività verso i poveri dall'annuncio, perché non c'era l'idea del politically correct nelle attività di carità. Ti dò l'elemosina ma ti manifesto il senso cristiano del mio gesto. Nel rapporto di assistenza deve manifestarsi senza pudore l'annuncio. Vuoi il mio pane ma non vuoi ascoltare la Buona Notizia? Libero di scegliere il tuo inferno, lontano da me. Sembra crudele, ma è il coraggio della coerenza. Nessuno è obbligato a convertirsi, ma se viene dalla comunità cristiana non può avere lo stesso trattamento di un laico centro di assistenza sociale pubblico.
La comunità vive di preghiera e di annuncio, in primis. Vive di momenti di silenzio, di adorazione, di meditazione e di condivisione. Si apre al mondo che ha fame non solo di pane, fornendo nutrimento al corpo e allo spirito. Ma non solo al corpo, perché le realtà invisibili sono più importanti di quelle materiali. 

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