Il canto delle sirene

La letteratura antica è piena di metafore, e di insegnamenti sempre da riscoprire.
Questo mito delle sirene che incantano i marinai che troviamo nel XII libro dell'Odissea e nel IV libro delle Argonautiche è una splendida metafora della condizione umana.
Le sirene delle attrattive del mondo ci tentano continuamente.

La cosiddetta "seconda nobile verità del Buddha" ci avverte che la causa di tutte le esperienze di sofferenza è l'attaccamento al desiderio, e non il desiderio in sé stesso.

Matteo ci riporta due volte il pensiero di Gesù sul desiderio: una in Mt 5,28 in riferimento all'adulterio, che è già la coltivazione del desiderio di una donna; l'altra in Mt 6,25 dove ci consiglia di non perdere tempo a coltivare il desiderio di cose materiali, perchè Dio provvede a tutto.

Il tema sulle tentazioni non è banale. Ancora si discute su come rendere il passo del Padre Nostro in cui chiediamo aiuto nell'affrontare le tentazioni. Non è solo un problema di traduzione dalla versione greca, è proprio la teologia della tentazione che va ponderata.
La tentazione è positiva o negativa?
O forse neutra?

In fondo anche Gesù è stato tentato nel deserto, lui che era incapace del male.
Sono stati tentati grandi peccatori e grandi santi. Tutti indistintamente.
Siamo stati tentati noi, da quando abbiamo la percezione del peccato, e tante volte abbiamo inciampato nella tentazione.

La tentazione però, nell'esperienza di ognuno di noi, non è mai determinante. Mai siamo stati forzati a fare il male. Ci attira, ci affascina, ci blandisce con mille giustificazioni.
Il peccato di gola ci sembra così banale da essere scusabile, quello sessuale perchè la carne è debole, etc.

Ma la tentazione cos'è in fondo? Una falsa rappresentazione. Al di là di quello che pensiamo sia etico, ci concediamo questo strappo alla regola. Non basterebbe questo alla nostra debolezza, se la nostra psiche non fosse già viziata, predisposta al male da una cattiva abitudine mentale, che per Gesù era già peccato in se stessa, cioè la coltivazione del desiderio.

Magari non ci abbuffiamo di dolci, ma coltiviamo il culto, il desiderio del dolce.
Magari non tradiremo nostra moglie, ma coltiviamo il desiderio delle donne che ci attraggono.

Coltivare il desiderio è coltivare la tentazione. Questo è già peccato.
La tentazione non coltivata non è peccato, è un fatto normale e quotidiano che fa parte della nostra esperienza di vita su questa terra.
La tentazione vinta è la virtù. La virtù offerta a Dio è santità.


Il desiderio ci confonde, non ci fa fare quello che vorremmo fare ed essere quello che vorremmo essere. Ma la nostra responsabilità non nasce solo nel momento della tentazione, perchè dobbiamo approfittare dei momenti in cui non siamo tentati per lavorare sulla nostra psiche. Una buona igiene mentale ci prepara ad affrontare la battaglia con la tentazione. Nessuno può combattere se non si allena. Come funziona con le discipline fisiche, così funziona con le discipline psichiche. Il nostro cervello va allenato a ben pensare, a rendersi indipendente dai bisogni, libero nei confronti delle seduzioni dei mondo. 

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